Renzo Piano: una continua sperimentazione

“L’architetto fa il mestiere più bello del mondo perché su un piccolo pianeta dove tutto è già stato scoperto, progettare è ancora una delle più grandi avventure possibili”
“Wider thinking” significa per noi saper sognare e avere la capacità di visualizzare gli obiettivi più ambiziosi, senza alcun limite al proprio pensiero. I wider thinkers sono aperti, positivi, creativi: sanno vedere e cogliere opportunità laddove altri non arrivano. Sono perciò dei grandi innovatori. In questa rubrica vi raccontiamo le storie dei nostri preferiti.
Renzo Piano è una delle personalità di maggiore rilievo e influenza nel mondo dell’architettura, una vera istituzione a livello internazionale.
Senatore a vita e ambasciatore UNESCO, nel 1998 ha vinto il Nobel per gli architetti, il Premio Pritzker. Sognatore, appassionato e determinato, indicato da Time nel 2006 tra le 100 personalità più influenti del pianeta, ha reso immortale il suo approccio al design. Straordinariamente dotato della capacità di unire forma e concetto in modo innovativo attraverso il linguaggio della comunicazione, ha prodotto nella sua carriera una straordinaria mole di edifici e di progetti innovativi e innumerevoli sono i testi pubblicati nel tempo sulla sua intera opera. Inoltre, nelle principali città dell’Europa e degli Stati Uniti d’America, in Giappone e in Australia, gli sono state dedicate innumerevoli mostre. Moltissimi i riconoscimenti internazionali, tra cui l’Honorary Fellowship Riba a Londra (1986), la Legione d’Onore a Parigi (1985), la Riba Royal Gold Medal for Architecture (1989), il titolo di “Cavaliere di Gran Croce”, il premio Imperiale a Tokio (1995) oltre al già citato premio Pritzker (1998). Dal 1994 è ambasciatore dell’UNESCO per l’architettura. Numerosi sono anche i riconoscimenti universitari (visiting professor alla Columbia University di New York, alla Architectural Association di Londra, laurea honoris causa ricevuta dalle Università di Stoccarda e Delft) e quelli ottenuti in concorsi nazionali ed internazionali.
A una fama planetaria ha corrisposto per lungo tempo però in Italia la maledizione del nemo propheta in patria. Solo nel 2013, la nomina a senatore a vita – l’equivalente del titolo di “lord” che in Inghilterra si assegna agli architetti benemeriti – segna una svolta nella recezione della sua importanza. Il pubblico mostra finalmente di comprendere e apprezzare la sua opera: nel 2007 (in occasione dei suoi 70 anni) la Triennale di Milano gli dedicò una mostra memorabile, che fece saltare ogni record di visitatori. Snobbato dall’Accademia universitaria, Piano veniva però riconosciuto dagli studenti come maestro naturale. Fu il segnale di un’inversione di tendenza. Dopo decenni di oblio, di diffidenza, di maldicenza, Piano diventava il padre nobile dell’architettura italiana.
Renzo Piano è nato a Genova il 14 settembre 1937 (compie oggi 82 anni),
da una famiglia di piccoli imprenditori edili. Genovese purosangue, originario
del quartiere di Pegli, Piano è intriso di genovesità fino al midollo: l’infanzia dei castelli di sabbia sulla spiaggia di Pegli (“il
mio primo ricordo felice”), gli anni della giovinezza trascorsi con amici come Fabrizio
De André, Paolo Villaggio, Paolo Fresco, Beppe Grillo e Gino Paoli, con cui è
stato uno scout. “Lui era un capo, io un lupetto. Per questo, quando nel 2007
ho compiuto 70 anni, Gino mi ha regalato un cappello da scout “, ha raccontato
al Corriere della Sera. Si laurea al Politecnico di Milano nel 1964 e completa
la sua formazione in USA e Inghilterra. Collabora con famosi architetti quali
Franco Albini, Marco Zanuso, Louis Kahn, Jean Prouvé, pur continuando a
collaborare con il padre, nel cui cantiere muove i primi passi da architetto,
“sporcandosi le mani” con materiali e attrezzature, studiando tecniche e forme.
“Ho passato la mia infanzia sui mucchi di sabbia, ad assistere a questo
miracolo della sabbia che diventa cemento e costruzione. Questa esperienza è
rimasta dentro di me” – dichiara l’architetto in una intervista a Luca
Molinari.
Ben presto inizia in proprio un lavoro di sperimentazione che lo porterà ad esiti del tutto originali. In particolare, si dedica alla ricerca di nuove matrici per costruire un percorso di progettazione inedito, attraverso lo sviluppo di strutture spaziali a guscio, realizzate con sistemi costruttivi innovativi come innovativa è la sua concezione dello spazio, il suo progettare con estrema sintesi formale, per sottrazione, mettendo al primo posto la sua estetica della leggerezza mescolata all’etica del fare e alla responsabilità del progettare prestando grande attenzione ad ambiente, comfort abitativo e risparmio energetico, ben prima che diventassero paradigmi essenziali di ogni progetto moderno. Come dichiara egli stesso “io cerco di utilizzare in architettura elementi immateriali come la trasparenza, la leggerezza, la vibrazione della luce “e poi, ancora “costruire significa essere essenzialmente responsabili nei confronti della società, della storia, della natura e del futuro”.
A proposito della sua inclinazione per questa professione, Piano dice: “Quello dell’architetto è un mestiere antico come cacciare, pescare, coltivare ed esplorare. Dopo la ricerca del cibo viene la ricerca della dimora. Ad un certo punto, l’uomo, insoddisfatto dei rifugi offerti dalla natura, è diventato architetto”. La collaborazione con Albini, padre del razionalismo italiano, nutre la sua passione per i dettagli, contribuendo a segnarne la visione architettonica. Una visione in cui ciascun progetto è come un prototipo, che si assembla pezzo per pezzo, con una spiccata vocazione tecnologica e artigianale, deliberatamente anti-accademica: ogni singola componente conta e va concepita in armonia con la propria funzione e con ciò che le sta intorno. Per questo nessuna sua opera è uguale a un’altra. Non ci sono motivi ricorrenti e riconoscibili nel lavoro di Renzo Piano, non c’è uno stile unico, perché come lui stesso spiega “lo stile è una trappola. Quello che mi piace è l’intelligenza e la coerenza. La coerenza non c’entra con la forma, è qualcosa di più forte, più umanistico, più poetico”.
La risonanza internazionale dei suoi primi lavori, a cui si aggiunge l’incarico per la progettazione del padiglione per la XIV Triennale di Milano del 1966, è enorme. Il suo nome si impone nell’ambiente e presso gli esperti tanto che alcune riviste specializzate gli dedicano ampi servizi: è il caso di “Domus”, che in un suo numero dell’epoca illustra i primi progetti di Piano. Ma il sintomo del vero successo è la citazione del suo nome su riviste di settore non rivolte esclusivamente ad addetti ai lavori od appassionati, tra cui ad esempio “Casabella”. Grazie a questa affermazione internazionale ormai consolidata, ottiene possibilità di realizzare il padiglione dell’industria italiana all’Expo di Osaka nel 1969. Dal 1971 inizia la collaborazione con Richard Rogers, nella società Piano & Rogers, e dal 1977 con Peter Rice, con la Piano & Rice Associates.
La fama globale è esplosa in quegli anni, con la vittoria (su 681 progetti presentati) al concorso internazionale per la realizzazione del Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou di Parigi, nel 1971. Uno dei progetti più discussi della sua carriera il “Beaubourg” di Parigi, cento mila metri quadrati nel cuore della capitale francese, una costruzione dall’impianto architettonico ardito, costruito con materiali inusuali. Il progetto del Centro è talmente innovativo che non ha mancato di suscitare al suo esordio un vero diluvio di commenti, sia pro che contro il progetto. “Quando lo guardo, non mi meraviglia che l’abbiamo fatto, ma che ce lo abbiano lasciato fare”, ha detto Piano del progetto, realizzato a quattro mani con Richard Rogers.

Proprio la capitale francese, insieme a Genova e New York saranno i poli in cui si innesca il suo visionario approccio alle opere di design. Eppure l’inizio della sua carriera di studente non fu certo brillante, come racconta lui stesso in un intervista: “In terza elementare un prete disse a mia madre che ero un asino senza speranza. Mi portarono pure dallo psichiatra, che sentenziò: il bambino è normale. Solo, non sapevo studiare, ero disattento. Al liceo ero sempre rimandato, un paio di volte mi bocciarono “. Dal 1981 ha dato vita al Renzo Piano Building Workshop, con sede a Genova e uffici a Parigi, Osaka e a New York, il cui obiettivo principale è la ricerca e l’utilizzo di materiali e tecnologie all’avanguardia, lo studio della luce, con l’intento di progredire sempre di più nella capacità di realizzare edifici e complessi urbani straordinari in tutto il mondo. Lo studio è guidato da undici partner e conta circa 150 collaboratori. Dalla sua fondazione, RPBW ha completato oltre 130 progetti in Europa, Nord America, Australia e in Asia.

Con il suo stipendio da senatore a vita, inoltre, ha messo in piedi il team del “G124”, dal nome della sua stanza a palazzo Giustiniani, che è diventata un’altra parte del suo studio, concentrata sul tema delle periferie e della “città che sarà”, con la missione etica di “rammendare le nostre città”. Sul tema ha scritto: “La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle. Il grande progetto del nostro Paese sono le periferie: la città cha sarà, la città che lasceremo ai nostri figli. Nelle periferie, che sono la parte più fragile del nostro Paese, ci sono delle perle. Nonostante tutto ci sono. Spesso sono nascoste sul fondo, bisogna scovarle, lucidarle e aiutarle a crescere. Non è vero che le periferie sono sempre brutte e desolate, c’è bellezza, ci sono cuore ed energia. Renderli luoghi felici e fecondi è il disegno che ho in mente”. Sul suo profondo impegno sociale e culturale: “Lo studio G124 insieme alla Fondazione Piano a Punta Nave (che si occupa dell’archivio dello Studio Renzo Piano, ma che soprattutto mira a supportare e formare i giovani architetti, attraverso borse di studio, pubblicazione di libri e promozione di mostre) – ha dichiarato – è la mia maniera di rispondere al dovere di rimettere in circolo tutto ciò che la mia vita ha rappresentato, di restituire ai giovani parte di quello che si è avuto. Mi piace anche il concetto di bottega che ha una nobile e antica origine, una sorta di scuola del fare che in questo caso significa fare per il nostro Paese. Anche perché i nostri ragazzi devono capire quanto sono stati fortunati a nascere in Italia. Siamo eredi di una storia unica in tutto il pianeta, siamo nani sulle spalle di un gigante che è la nostra cultura.” I progetti per l’Aquila post terremoto (Auditorium del Parco), la collaborazione con Emergency (ospedale per bambini a Entebbe -Uganda) completano il grande quadro delle sue attività sociali. “In genere, la politica teme il talento perché il talento ti regala la libertà e la forza di ribellarti” , è il suo pensiero.
L’architetto ha quattro figli, che chiama affettuosamente “picciotti” (“che vuol dire piccini, ma anche un po’ canaglie”, precisa), nati da due diversi matrimoni. Dice di lui la figlia Lia: “ammiro senza condizioni la sua modernità, ha una libertà di pensiero che me lo rende indispensabile. Vorrei avere il suo sguardo capace di vedere subito lontano». E’ un grande appassionato di barche (il mondo nautico è uno dei leitmotiv del suo linguaggio progettuale), che disegna lui stesso, la prima di tutte quelle che ha posseduto è stata addirittura costruita con le sue mani. In pochi, forse, sanno che Renzo Piano si considera, scherzosamente, un musicista mancato (esordì con un giovanissimo De André suonando la tromba in Si bemolle) e in altrettanto pochi lo conoscono come scrittore e saggista. “Un architetto dovrebbe campare fino a 150 anni, perché i primi 75 sono necessari solo per imparare”, ama dire. Tanti auguri, Maestro!
Oltre a quelli già citati, tra i suoi progetti più famosi si evidenziano:







- la New York Times Tower di New York, sede dell’omonimo quotidiano statunitense
- Stadio di calcio S. Nicola, Bari, Italia
- Ristrutturazione del Lingotto, Torino, Italia
- Aeroporto internazionale del Kansai, Osaka, Giappone
- Risistemazione della Potsdamer Platz, Berlino, Germania
- Le Torri, Aurora Place, Sydney, Australia
- l’Acquario e la riqualificazione del Porto Antico di Genova,
- l’Auditorium Parco della Musica di Roma
- la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo
- High Museum di Atlanta
- il MUSE di Trento
- Fondazione Beyeler a Basilea
Un progetto che è diverso da tutti quanti gli altri, che si carica di un forte valore simbolico e civico è quello del nuovo ponte di Genova, l’opera che l’architetto ha regalato alla sua città. “Bello, di una bellezza genovese: restìa, parsimoniosa, taciturna”, così Renzo Piano ha descritto quello che per lui non è semplicemente un ponte, ma un segno di pace, la ricomposizione di una frattura, un monumento alla memoria e all’unità, non solo di una città, ma di un paese intero.

Una lunga lezione di architettura senza miti, eccetto quello primordiale del fare: è in questo modo che può essere letta l’intera carriera di Renzo Piano che, senza alcuna volontà dogmatica, ha insegnato e continua a insegnare prima di tutto che l’eterogeneità, caratteristica suprema della sua opera, non è sinonimo di mancanza di linguaggio distintivo ma è il più importante frutto di una sperimentazione continua e incessante.